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Eventi INTORNO al BAROCCO

INTERVISTA A FRANCO FAGIOLI
di Isabella Chiappara
30 settembre 2013

SOMMARIO

  1. LA FORMAZIONE - IL TEATRO COLON
  2. LA SCUOLA DEL BELCANTO
  3. LA TECNICA VOCALE
  4. SCUOLA NAPOLETANA O ANGLOSASSONE?
  5. L'USO DEL VIBRATO
  6. HANDEL - VINCI - PORPORA
  7. IL CASTRATO CAFFARELLI
  8. ERMAFRODITISMO IN MUSICA
  9. CASTRATI RENAISSANCE
  10. STEFFANI - MOZART
  11. CONTROTENORI IN ITALIA OGGI

Questa è la trascrizione, pressoché esatta, del colloquio avuto con il maestro Franco Fagioli, il quale gentilmente ci ha rilasciato l’intervista in italiano, pur non essendo questa la sua lingua madre

PressefotoFagioli02byJulianLaidig1. LA FORMAZIONE - IL TEATRO COLON

I.C. Franco, è uscito da pochi giorni il tuo CD per Naïve Arias for Caffarelli incentrato sulla figura mitica del grande castrato e sulla musica composta per lui da grandi autori della Scuola napoletana, è anche uscito il CD di Decca con l'esecuzione dello Stabat Mater e di altra musica sacra di Steffani, nel quale tu sei parte di un cast favoloso capitanato da Cecilia Bartoli; ma di questo parleremo più avanti, a noi piace iniziare queste conversazioni con gli artisti conoscendo il loro percorso formativo.

Insomma come sei arrivato fino a qui, oggi. Sappiamo che sei argentino, che hai avuto una formazione al Teatro Colon di Buenos Aires, ma come sei diventato cantante e soprattutto controtenore?

F.F. Sì come tu hai detto sono nato in Argentina a San Miguel de Tucumán, nel nord, a 1250 Km da Buenos Aires che è la nostra grande capitale; quindi in questa piccola città ho incominciato i miei studi musicali quando avevo dodici anni, prima a undici, sono entrato in un coro di bambini: questa è stata una bella esperienza, sono entrato nel coro, con voce di soprano, e per coincidenza quell'anno si faceva il Flauto Magico di Mozart, e allora sono stato scelto per interpretare uno dei bambini, per cantare nell'opera. Entrare in quel coro è stata la mia prima grande esperienza nella musica, stare sul palcoscenico con i cantanti e l'orchestra.

I.C. Avrai anche cantato la Regina della Notte come fanno molti bambini particolarmente dotati?

F.F. Ma certo, io cantavo di tutto. Io sempre dico che quell'esperienza forse mi ha portato a tutto quello che mi sta succedendo adesso. Dopo l'esperienza con il coro è incominciato lo studio del pianoforte: sono entrato nel Conservatorio della mia città e mi sono sempre più interessato alla preparazione musicale sul pianoforte. Ho fatto concerti nella mia città; andavo anche a Buenos Aires a prendere lezioni con un grande maestro. Ma anche se studiavo il piano non mi abbandonava l'amore per il canto. Più che farlo seriamente, "giocavo" a cantare e non ho mai abbandonato il piacere di cantare con la voce acuta. Ho fatto il cambiamento di voce intorno ai quattordici anni ma anche se avevo cambiato la voce, continuavo a giocare a cantare con la voce di testa.

I.C. Ma lo sapevi che era il registro della voce di testa o lo ignoravi e ti veniva naturale farlo?

F.F. No assolutamente non lo sapevo, io credevo di imitare le voci femminili, non sapevo che esisteva questo registro, nè che esistessero i controtenori, non sapevo neppure dei castrati. Per me era cantare come quando ero bambino, con quella voce di testa, che mi aveva accompagnato in quegli anni nonostante il cambio di voce, ma lo facevo ripeto "per gioco". Tantomeno pensavo che esistesse la possibilità di fare una carriera come controtenore, io cantavo come un mezzo soprano.

Quando avevo quindici anni ho incominciato a dirigere un coro e naturalmente cantavo tutte le parti per insegnarle ai coristi, e così ho scoperto che avevo questa facilità innata (ndr. al registro di controtenore). Ho scoperto però la voce di controtenore quando un giorno ho comprato un CD dello Stabat Mater di Pergolesi e ho visto che in quella esecuzione cantavano Emma Kirkby e James Bowman, e quando ho scoperto che quest'uomo cantava con una voce controtenorile mi sono reso conto che era quello che facevo io, ho scoperto il registro di controtenore, e in quel momento ho deciso di diventare un controtenore. E così ho incominciato a studiare, avevo circa diciotto-diciannove anni, ho visto che avevo molta facilità in questo registro e che mi piaceva molto quello che poteva fare la mia voce, il mio suono per intenderci. Questo è stato l'inizio.

Ho continuato a studiare, ma nella mia città nessuno sapeva cosa fosse un controtenore, tantomeno insegnare a cantare in quel registro. In quel momento non pensavo quello di cui sono convinto ora: che un controtenore non ha bisogno di un insegnamento da parte di un altro controtenore. Dobbiamo invece continuamente acquisire e approfondire la tecnica per tutta la vita, ma in quel momento ero preoccupato che non ci fossero insegnanti. Per fortuna, coincidenza volle, che venne una maestra di canto nella mia provincia, poiché si era sposata con un chitarrista tucumano. Questa signora veniva dal Nord-America, da Boston, quindi ho pensato che questa professoressa potesse insegnarmi qualcosa. Lei accettò di prendermi come allievo, anche se non aveva mai insegnato a controtenori. Lei era un soprano e io ho incominciato le mie lezioni di canto con lei. In seguito feci un concorso, che vinsi, e che mi portò a Buenos Aires, e nella capitale finalmente conobbi le persone, i professori, i cantanti, che gravitavano intorno al Teatro Colon, questo grande teatro che abbiamo in Argentina.

I.C. Un teatro dalla grandissima tradizione operistica.

F.F. Certo di grandissima tradizione operistica, soprattutto italiana. All'interno di questo teatro c'è un Istituto d'Arte, dove si insegna canto certamente, ma anche tutti i ruoli che si hanno in un teatro d'opera. I pianisti imparano l'accompagnamento alla preparazione di un'opera, si impara la carriera di direttore di scena, del drammaturgo e via dicendo.

I.C. Quindi è una vera e propria Scuola di formazione questa all'interno del Teatro Colon, un po’ come alla Scala di Milano.

F.F. Certo, non è quello che in Europa è chiamata un'Opera-Studio: è molto di più, una vera scuola di formazione all'opera. Certamente in quell'Istituto il dipartimento di Canto si fa come una specializzazione dopo il Conservatorio, si finisce prima il Conservatorio e dopo si può entrare nell'Istituto d'Arte del Colon come perfezionamento.

Il punto era che questo Teatro Colon aveva una grande tradizione operistica legata in particolar modo alla Scuola Italiana, ma non aveva mai avuto un controtenore, né fra i maestri né fra gli allievi.

I.C. E probabilmente praticava poco l'opera barocca.

F.F. Certamente. Però mi consigliarono lo stesso di provare ad entrare nell'Istituto, almeno di tentare. E così sono andato, ho fatto la mia prova e con mia grande sorpresa loro mi hanno preso come allievo dell'Istituto, ed è stata una grandissima gioia, poiché prima di me, tantissimi altri controtenori avevano provato ad entrare, ma mai l'Istituto aveva preso un controtenore poiché dicevano che le voci di questo tipo non servivano e loro non potevano insegnarle. Ma io sono entrato ed è stato un evento storico, il primo controtenore ad entrare nell'Istituto d'Arte del Colon.

I.C. Ma in questo Istituto vi insegnavano anche recitazione, perché in molti ce lo chiediamo. Il tuo approccio teatrale all'opera ha infatti una grande forza drammatica.

F.F. Ma certo la formazione all'Istituto comprende le lezioni di tecnica vocale, le lezioni di repertorio, ma anche lezioni di tecnica e pratica teatrale e le lezioni di come fare il teatro nell'Opera; tutto questo è perfettamente integrato nel programma di studio di quest'Istituto.

2. LA SCUOLA DEL BELCANTO

I.C. Questo lo trovo molto importante, perché in te, diversamente da altri pur bravi controtenori che non hanno evidentemente avuto una scuola attoriale alle spalle, e purtroppo sulla scena si vede, si nota una grande dote e predisposizione, oltre che bravura, nell'interpretare i ruoli che ti vengono affidati. Insomma non sei solo cantante ma anche attore.

F.F. Grazie, almeno cerco di mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti.

Ma io sono molto grato della possibilità che ho avuto di intraprendere la strada del controtenore, in un ambito che non fosse la musica antica. Forse qualcuno pensa che non lo debba dire, ma io sono felicissimo di aver iniziato la mia formazione in un teatro di tradizione operistica italiana. Il primo ruolo che ho interpretato è stato quello di Cherubino di Mozart. Il mio professore di canto nel Teatro Colon era un baritono e la prima cosa che mi ha detto nella prima lezione è stata: per cantare (tieni) la gola bassa, e abbassa la respirazione. Ho incominciato così e sono molto, molto felice di aver iniziato la mia formazione in quel teatro dove ho avuto quest'apertura alla musica, non soltanto barocca, ma belcantista del XIX secolo, che se ti devo dire la verità, io amo appassionatamente con tutta la mia anima. Io la amo tantissimo e canterò Rossini tutta la mia vita.

I.C. Rossini l'hai anche già cantato: l'Aureliano in Palmira a Martina Franca nel ruolo di Velluti, e magnificamente come tutti i critici hanno riconosciuto. Tra l'altro ho visto che tra i prossimi impegni discografici ci potrebbe essere un CD di arie per Velluti diretto da Fasolis, quindi forse anche Rossini fra gli autori. E' vero?

F.F. Questo non è ancora confermato: diciamo che c'è l'idea di fare un CD su Velluti, ed è una bellissima idea, ma ci dobbiamo ancora lavorare molto.

I.C. Diciamo che è ancora in fase gestazionale.

F.F. Sì assolutamente.

All'Istituto il maestro mi diceva che sì avevo la voce di controtenore ma la voce era adattissima a Rossini, nei ruoli che fanno i mezzi soprani, la voce si prestava benissimo. Quindi avrei dovuto studiare l'Arsace della Semiramide, il Malcom della Donna del Lago. E così ho affrontato il canto rossiniano, ed ecco perché sono un amante della Scuola del Belcanto; per me, sia per quello che ho imparato all'inizio, sia per quello che credo adesso, il Belcanto mi ha dato un'apertura che mi ha permesso di affrontare la musica barocca; un'apertura musicale ma anche una tecnica che mi ha aiutato tantissimo, e come ti dicevo, sono felice di interpretare la musica barocca ma anche la musica belcantista.

Dopo questa preparazione avuta in Argentina sono venuto in Europa.

I.C. Ritorniamo sul Belcanto, perché quello che forse ti distingue dagli altri controtenori, e si sente ascoltando la tua voce, è questa grossa formazione belcantista, tradizione belcantista che poi era nata nel Settecento in Italia, e forse si è voluta un po’ dimenticare o accantonare da certa scuola di canto barocco, soprattutto anglosassone dei primordi. Insomma i primi grandi maestri di canto erano stati i grandi maestri del Barocco italiano: i Porpora, i Tosi.

F.F. E’ esattamente quello che affermo: quando si dice Belcanto oggi si tende ad associarlo al repertorio ottocentesco, ma io credo che il concetto di queste due parole, Bel - Canto anche se è stato importante nel secolo XIX, in quel momento rappresentava una sorta di nostalgia per quello che si faceva nei due secoli precedenti: già si può parlare di Belcanto con i maestri del Barocco, un Porpora, un Leo, un Vinci.

I.C. Certo una tradizione continuata dal trattato di Garcia che è stato il filo conduttore che ha portato a Rossini e al canto ottocentesco.

F.F. Certo, oggi rimane l'idea del Belcanto come cosa che appartiene al XIX secolo, ma ripeto è un concetto di canto che è nato da una nostalgia nei confronti di un passato glorioso.

3. LA TECNICA VOCALE

I.C. Assolutamente: tra l'altro se non fosse stato riscoperto dalle grandi cantanti virtuose della seconda metà del Novecento come la Marilyn Horne o la Joan Sutherland, sarebbe stato accantonato anche come tecnica. Ecco ritorniamo alla tecnica, perché io sono molto curiosa di conoscere la tua. Tu utilizzi sicuramente il registro di testa, ma io ti sento scendere moltissimo nel registro di petto...

F.F. Ma certo!

I.C. Ma come ci riesci? Insomma tu hai delle doti che tutti i critici ti riconoscono incondizionatamente: ossia il controllo del fiato, del legato, la proiezione, l'appoggio sul fiato, l'omogeneità dei registri, il salto di ottave, questa capacità di scendere nelle note gravi in modo abissale e poi immediatamente risalire negli acuti luminosissimi e timbratissimi, basti ascoltare il tuo "Vo solcando un mar crudele" dall'Artaserse di Vinci. Insomma come sei riuscito ad ottenere una così vasta tessitura, io so che copri tre ottave, anche se ascoltandoti sembra quasi che tu riesca a fare di più, a ricreare proprio quel canto che tutti i commentatori antichi dicevano tipico dei castrati?

F.F. Quello che io faccio è quello che si diceva facessero i castrati. Certo ci sono molte maniere di cantare la musica che interpretavano i castrati, ma la sfida è cercare di fare quello che loro realmente facevano, soprattutto rispetto al fatto che avevano questa incredibile estensione vocale. Se parliamo di tecnica a me piace tantissimo il Belcanto italiano, questa maniera di cantare che ti insegna ad usare tutta la voce e che cerca di ottenere quella omogeneità che la voce ha nelle sue diverse parti, come disse Garcia nel suo trattato: la voce di petto, la voce di falsetto e la voce di testa. Lui già chiamava falsetto la voce intermedia che sta tra la voce di petto e quella di testa, il medio della voce lo chiamava così.

I.C. Si parlava anche di voce mezzana, che era il registro intermedio.

F.F. Si è proprio questo che volevo dire. Io sono d'accordo quando si parla di voce di testa, non lo sono quando si parla di falsetto e si dice che il controtenore usa il falsetto, è una cosa che personalmente non mi riguarda. Forse c'è qualche controtenore che canta come un falsettista, ma quello che faccio io, quello che considero facciano altri miei colleghi, è cantare nella voce di testa. Questo significa sviluppare tecnicamente questa voce, tanto in volume che in capacità di flessibilità e tecnica. Ma certamente non abbiamo solo una voce di testa, ma abbiamo anche una voce di petto molto interessante che vogliamo usare, quella che già si faceva nel XIX secolo. Era quella voce che Rossini amava tanto, quella voce che possiamo chiamare la contralto-sopranile di cui tanto si parlava all'epoca di Rossini. Perché il termine mezzo soprano è nato non tantissimo tempo fa, ma prima, come tutti sappiamo, prendiamo ad esempio la Rosina di Rossini, erano ruoli scritti per un contralto. Quello che voglio dire è che si vede che la tradizione precedente, quella del canto dei castrati, non è mai venuta meno fino al pieno Belcanto, quello di Rossini, Bellini, Donizetti: loro hanno continuato a scrivere la musica con questa idea della tradizione belcantista settecentesca, per questo c'erano tanti ruoli en travestì. Perché il contralto donna venne a rimpiazzare quello che fu il castrato, quella idea vocale, che se tu lo vedi,è continuata per tantissimo tempo. E' ovvio che quell'aberrazione della natura che era la castrazione è stata abbandonata, ma il discorso compositivo legato alla voce di castrato è continuato, non è stato abbandonato, questo è chiaro.

I.C. Certo si è abbandonato con il verismo, con il Romanticismo verdiano, insomma con l'avvento del tenore con i suoi strabilianti do di petto.

F.F. Sì ma rimane lo stesso la nostalgia: se tu pensi al Cavaliere della Rosa di Strauss, c'è sempre la nostalgia per quello che avveniva in passato.

Allora sempre si è detto che i castrati avevano questa grandissima estensione e, se tu leggi o ascolti la musica scritta per loro, quell'estensione è veramente strabiliante, tanto nei soprani (ndr. acuti?) che nella zona del centro della voce; si vede che loro usavano questa capacità, ma rispetto all'omogeneità vocale, che oggi è tanto richiesta, è importante dire e comprendere, che in passato non era una cosa interessante, quello che attraeva era quello che facevano i castrati: ciò che era ricercato ancora nell'epoca di Rossini, non era l'omogeneità, ma la diversità della voce.

I.C. Certo quegli incredibili sbalzi di registro.

F.F. Infatti, proprio quello che tu dici. Far vedere che c'è una voce di tenore e che c'è una voce di soprano, allora il migliore esempio, oddio ci sono centinaia di esempi che si possono fare di tipiche arie per castrato, ma prendiamo "Agitata fra due venti", quello è l'esempio perfetto, quei salti (qui Franco accenna ad un canto) che sono l'essenza stessa di quella musica, dove si fanno sentire le due voci.

I.C. Certo, perché le due voci dovevano confluire in quello che era visto come la massima perfezione, ossia l'ermafroditismo musicale, sia nell'età barocca che nel periodo belcantista.

F.F. E' proprio così, ecco perché a me piace far vedere questo aspetto e far capire che questa è una tradizione musicale che non è mai finita, almeno fino all’ultimo belcanto e certamente fino al verismo. Perché Rossini nei ruoli en travestì che cantavano i contralti femminili fa vedere la stessa cosa, fa vedere la capacità di un acuto, un acuto virtuoso, un acuto elastico e flessibile, ma anche la capacità della voce tenorile, nel mezzo soprano femminile: un grande esempio lo è stato in tempi moderni la Marilyn Horne, lei era un mezzo soprano ma sarebbe stata un contralto-sopranile, come si chiamava prima: una donna che cantava come un tenore e dopo come un soprano, perché era questo il suo colore.

I.C. Beh è anche un po’ il tuo colore!

F.F. Oddio è sempre un onore, io l'ho sempre ascoltata con grandissimo piacere.

I.C. Il tuo è un colore molto particolare nell'ambito della voce dei controtenori che hanno cantato prima di te e che cantano anche oggi: insomma il tuo colore, il tuo timbro è abbastanza unico, proprio per questa ricchezza di sfumature e questa ricchezza interna.

4. SCUOLA NAPOLETANA O ANGLOSASSONE?

F.F. Ma bisogna anche parlare delle diverse Scuole, anche nella stessa epoca barocca, anche nell'epoca di Handel ad esempio. Bisogna parlare di questo, perché se oggi veniamo definiti col nome di controtenori, forse è un errore della Storia, perché noi, o almeno io e quelli che cantano la musica dei castrati, forse non dovremmo essere chiamati controtenori. Dico questo perché anche nell'epoca barocca, di Handel, nella Londra di Handel, esistevano i controtenori accanto ai castrati, e quale era la diversità: la Scuola, da quale scuola provenivano. Da quale Scuola provenivano i castrati: da quella italiana.

I.C. Dalla Scuola Napoletana in primo luogo.

F.F. Certo dalla importantissima Scuola napoletana, invece i controtenori erano una tradizione della Germania, o dell'Inghilterra: per questo bisogna rivedere il concetto di controtenore e bisogna fare un'analisi. Perché nella musica italiana e napoletana, i cantanti che venivano da quella Scuola, avevano un certo modo di cantare, diverso da quello dei controtenori.

I.C. Quello che tu dici lo trovo giustissimo e calzante con le problematiche che può suscitare l'analisi della voce controtenorile.

F.F. Sì, infatti ci chiamiamo controtenori, così il pubblico capisce che siamo cantanti uomini che cantano con la voce di testa, ma bisogna anche dire che tutto dipende dalla Scuola. Io ho imparato la Scuola di canto italiana e basta; non mi riconosco con quello che comunemente veniva indicato come controtenore negli anni '50 del Novecento.

I.C. Infatti tu non hai assolutamente quei suoni fissi, quei suoni bianchi, stimbrati, che hanno ahimè, molti di quei controtenori che appartengono a quella scuola iniziale di canto barocco.

F.F. Per questo bisogna fare questa differenza: ci sono due differenti Scuole, che hanno linee un'altra completamente differente dall’altra. Stiamo parlando simultaneamente del XVIII e XIX secolo e di oggi, perché è importante differenziarsi. Certo, quando mi chiedono quale è il mio registro, come lo definirei, per comodità potrei rispondere di controtenore; in realtà ho un registro di mezzo soprano, rossiniano, mozartiano, che ha anche la possibilità di fare il repertorio sopranile del barocco. Ma è interessantissimo vedere come anche all'epoca di Handel esistessero le due Scuole di canto parallele, e la Scuola a cui io mi sento di appartenere è la Scuola napoletana, la Scuola italiana e per questo faccio la musica che cantavano i castrati. Non è per me lo stesso feeling, lo stesso sentimento, non di emozione ma fisico, alla gola, al canto, di fare l'opera italiana piuttosto che un altro repertorio. Ti faccio un esempio tra l'Handel dell'opera italiana e l'Handel dell'oratorio inglese: non sono assolutamente la stessa cosa, neanche il discorso musicale, anche la scrittura musicale è diversa. Secondo me siamo in tempi in cui la voce di controtenore, che in questi anni ha avuto un grande sviluppo poiché in molti cerchiamo di cantare la musica italiana, oggi ha bisogno di una nuova definizione: sì d'accordo siamo controtenori poiché non siamo castrati; potrebbe rimanere il termine generico di controtenore, ma siamo un'altra cosa.

I.C. D'accordo. Ma non avendo, grazie a Dio subito quella terribile operazione che creava uno status quanto meno innaturale: corde vocali non inspessite, laringe da donna o almeno sopranile e corpo maschile, pienamente sviluppato nel torace, con particolari effetti di risonanza, tu che usi la voce di testa usi le risonanze tipiche di quel registro, della maschera, dei seni nasali, come fai, quando stai nel registro di testa a scendere nel registro di petto, come riesci ad ottenere questo sbalzo, mantenendo l'omogeneità, quando altri pur bravi controtenori, costretti dalla partitura ad andare nelle note gravi, tiravano fuori il loro registro di baritono o tenore, con un effetto non gradevolissimo. A te non avviene, tu mantieni assolutamente l'omogeneità.

F.F. E' un aspetto della voce che bisogna studiare! Isabella se parliamo anche di voci femminili, quel cambio deve avvenire in tutte le voci, e se si fa in modo errato non è gradevole. Io ho studiato la mia voce nelle sue complete possibilità, tanto negli acuti, come nei gravi; ho studiato con un maestro che mi ha insegnato la tecnica del Belcanto della Scuola italiana, e mi ha sempre detto: la voce la dobbiamo studiare in tutta la sua estensione, cercando di avere sempre la stessa ricchezza nel suono. Certamente c'è una situazione fisiologica: quando si va nelle note acute prendono più risonanza i seni nasali della maschera, come si dice, ma certamente una voce che sta nell'acuto, che ha la sua posizione a laringe più bassa possibile - non è lo stesso una laringe bassa di un baritono piuttosto che una laringe bassa di un soprano o di un controtenore come nel mio caso – si cerca di fare l'acuto creando risonanza anche nel corpo ed anche nel petto, e dopo andare al centro e alla voce di petto. Oggi si richiede omogeneità, perché se non c'è subito la critica risponde negativamente, ma come ti dicevo prima, in passato non era questa la richiesta preferenziale, anzi il contrario. Oggi l'orecchio non è abituato, anche il mio naturalmente, anche a me non piace quando la voce non è omogenea, allora si cerca di lavorare su questo.

I.C. Scusa Franco questa omogeneità non significa fissità, che tu non hai mai.

F.F. Certo fisso significa una cosa, omogeneo un'altra. Il mio maestro mi diceva questo: laringe bassa, appoggio della voce, cantare sul fiato, cercare una posizione che ti permette di andare negli acuti senza fare nulla di strano, la famosa tecnica del passaggio, di cui tanto si parla, dell'affondamento della voce, tutto questo l'ho imparato e cerco di metterlo in pratica, questo permette che si possa cantare nei diversi registri, senza far soffrire gli altri registri.

5. L’USO DEL VIBRATO

I.C. Tu fai un uso sapiente del vibrato: che è abbastanza una novità perché la moderna scuola del canto barocco, quella anglosassone soprattutto, aborriva il vibrato. Quando ti ho ascoltato le prime volte, a Roma nel 2006 nel ruolo di Tolomeo, e a Bruxelles nel 2010 nel recital handeliano con la Bartoli, abituata ad una emissione priva o quasi di vibrato, rimasi molto colpita, continuando ad ascoltarti e soprattutto in quest'ultimo CD di arie della Scuola napoletana ho trovato il tuo vibrato sempre più calzante e adoperato magnificamente. Questa reintroduzione come si impone?

F.F. Tu per vibrato intendi il movimento naturale della voce e anche qui bisogna intendere la Scuola di canto. Non era la stessa scuola quella per l'opera italiana barocca e quella per la musica sacra non italiana, dipende di che musica stiamo trattando. Il vibrato della voce è una conseguenza naturale di tutto il meccanismo vocale, di tutti i muscoli impegnati, e la colonna di aria che si forma, tutto questo produce il vibrato che se non ci fosse non sarebbe naturale. Certamente possiamo anche dire che ci sono delle voci che fanno un uso eccessivo di vibrato, e questo è un elemento negativo.

I.C. Tu però usi il vibrato anche come decoro musicale, come usi i trilli, i gruppetti.

F.F. Tante volte si, ma imparando a cantare il vibrato viene naturale, è giusto che ci sia.

I.C. Bene riprendiamo quel percorso che abbiamo lasciato interrotto.

Allora nel 2003 vinci un premio molto importante, dopodiché inizi la tua vera carriera.

F.F. Sì nel 2003 ho vinto il concorso Neue Stimmen della Fondazione Bertelsmann ed è stato sicuramente l'apertura per lavorare in Europa, e il mio primo lavoro in Europa è stato nel 2004-2005.

I.C. E già cantavi Handel? Già prima del Tolomeo, tu avevi cantato nel ruolo del titolo, pensi di affrontare di nuovo questo ruolo?

F.F. Affronterò diversi ruoli handeliani a breve ma non Giulio Cesare.

I.C. Peccato perché nel recital con la Bartoli a Bruxelles totalmente incentrato su Handel con le principali arie del Giulio Cesare da te interpretate, oltre al duetto, mostravi come il ruolo ti calzasse assolutamente come un guanto. Devo dire che poi la tua voce giustamente è avvicinata a quella di Cecilia Bartoli, e nell'ultimo lavoro con lei, lo Stabat Mater di Steffani, le vostre due voci si fondono in modo meraviglioso ed ineguagliabile. Lei è un mezzo soprano ed è perfettamente giusto che anche tu ti ritenga un mezzo soprano.

F.F. Certo, forse nell'uso della tecnica.

CONTINUA >>>

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