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JOHANN ADOLPH HASSE (1699-1783)

Didone abbandonata (1742)

Didone: Theresa Holzhauser
Enea: Flavio Ferri-Benedetti
Iarba: Valer Barna-Sabadus
Selene: Magdalena Hinterdobler
Araspe: Maria Celeng
Osmida: Andreas Burkhart

Hofkapelle München
dir. Michael Hofstetter

Naxos 8.660323-25 (3 CD)

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La Didone abbandonata è uno dei libretti più belli del Metastasio, messo in musica da ben 60 autori diversi fra il 1724 e il 1824. Eppure pochissime di queste opere sono state rappresentate negli ultimi 50 anni e solo due sono approdate al disco: questa versione di Hasse (scritta nel 1742 per il compleanno di Augusto III e riproposta l'anno seguente a Dresda) e quella di Jommelli del 1763, diretta da Frieder Bernius nel 1994. È a mio parere alquanto singolare che, mentre esistono decine di incisioni della Didone di Purcell, ci sia viceversa pochissima attenzione per questo testo che tanta influenza ha avuto sull’opera del Settecento.

Si tratta inoltre di uno dei rari casi in cui l’opera termina con un finale tragico: Didone, dopo essere stata abbandonata da Enea, rifiuta orgogliosamente per l’ennesima volta le profferte matrimoniali del re Iarba, il quale quindi attacca Cartagine e la dà alle fiamme. Didone respinge gli inviti a mettersi in salvo della sorella Selene (anch’essa segretamente innamorata di Enea) e del generale infedele Osmida, e, maledicendo gli stessi dèi, va a morire nell’incendio del palazzo reale.

Hasse risponde al libretto del Metastasio componendo musica di altissimo livello. Spicca in particolare il ruolo di Didone, scritto per la moglie Faustina Bordoni: le sue ultime parole prima della morte sono affidate ad un drammatico recitativo accompagnato, che fa seguito alla dolente aria Ombra cara, ombra tradita, nella quale Didone si rivolge al defunto marito Sicheo. Un’atmosfera ben diversa rispetto all’orgogliosa sicurezza di sé ostentata nell’aria Son regina e sono amante all’inizio del primo atto, oppure nella grande aria di chiusura del secondo atto Va lusingando amore, quando Didone, pur presentendo il disastro finale, ancora s’illude di riconquistare Enea.

Tuttavia questa realizzazione discografica è ben lungi dall’essere soddisfacente. Il piacere di poter ascoltare per la prima volta le belle arie di Hasse è purtroppo rovinato dai molti problemi di un’esecuzione approssimativa e nel complesso assai deludente.

Il primo motivo di disappunto è lo scarso rispetto del testo. I recitativi secchi sono stati sforbiciati senza pietà, probabilmente per motivi di tempo, visto che la ripresa è stata fatta dal vivo durante le rappresentazioni date a Monaco di Baviera nel maggio 2011. Forse per lo stesso motivo tre arie (su 24) sono state totalmente eliminate: si tratta di una rinuncia gravosa ma alla quale gli appassionati dell’opera barocca sono purtroppo abituati. Meno comprensibile invece la decisione di spostare nel secondo atto un'aria di Selene, prevista da Hasse e Metastasio per il primo atto: possiamo ipotizzare che ciò sia stato fatto per non meglio specificate "esigenze registiche".

Ma, a parte questi prevedibili tagli, è invece intollerabile che delle 21 arie superstiti ben nove siano state sfregiate, eliminando il da capo o addirittura riducendole alla sola parte A. Fra queste anche diverse arie di Didone, come Son regina e sono amante (quella che è forse l'aria più significativa dell'intera opera) e Va lusingando amore, nella quale il da capo viene troncato sul nascere per terminare con alcuni singhiozzi della cantante. Questi procedimenti sono disgustosi perché rivelano un totale disprezzo per quella che era l’estetica dell’opera settecentesca.

Malgrado questi sventurati adattamenti, ascoltare per la prima volta l'opera di Hasse sarebbe molto interessante se gli interpreti ne fossero all'altezza, ma così purtroppo non è. I due ruoli maschili principali sono affidati a due falsettisti la cui prestazione è veramente deprecabile. Flavio Ferri-Benedetti (Enea) emette una voce dagli acuti strozzati e dall'intonazione precaria; inoltre l'estensione di alcune arie lo costringe a ricorrere alla sua voce di petto, con un effetto tutt'altro che gradevole. Valer Barna-Sabadus (Iarba) ha intonazione altrettanto ondivaga e la tessitura quasi sopranile della sua parte lo costringe ad un'emissione esile, sforzata e priva di armonici, alquanto spiacevole all'ascolto.

Forse per non far sentir troppo soli questi due fenomeni, si è pensato bene di affidare il terzo ruolo maschile per importanza ad un soprano piuttosto mediocre (Maria Celeng), che pur avendo una voce più sopportabile certo non rende giustizia alle magnifiche arie che Hasse ha scritto per la parte di Araspe (fra tutte L'augelletto in lacci stretto, anche questo privato del da capo!). I personaggi femminili hanno fortuna un po' migliore: ma sia Theresa Holzhauser (Didone) che Magdalena Hinterdobler (Selene), pur facendo un discreto lavoro, non sono certo i migliori soprani in circolazione. E questa è un'opera che per risplendere richiede interpreti di ben altra caratura.

Per non infierire non mi soffermerò sulla scadente qualità dell'interpretazione dei recitativi secchi (o meglio di quel poco che ne è rimasto) però non posso non segnalare che anche la qualità dell'audio non è eccelsa: non è stato fatto nessun tentativo per attenuare i (molti) rumori di scena e gli applausi a metà delle arie, tanto che sembra più una registrazione radiofonica che non un'incisione commerciale. Insomma, l'unica cosa che salverei è l'orchestra col suo direttore, che ha almeno il merito di non proporre combinazioni improbabili di strumenti per il continuo.

In conclusione: una grande occasione mancata, che avrebbe fatto meglio a rimanere confinata alle recite di Monaco ed alle trasmissioni radiofoniche che ne seguirono (le cui registrazioni sono ancora rintracciabili in rete). Purtroppo dopo questi CD sarà ben difficile che compaia, in tempi brevi, un’altra registrazione di quest’opera, più degna di essere ascoltata.

Maurizio Frigeni, 10 marzo 2013

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