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rinaldo

G.F. Handel / Leonardo Leo: Rinaldo (1718)

Rinaldo: Teresa Iervolino
Armida: Carmela Remigio
Goffredo: Francisco Fernandez-Rueda
Almirena: Loriana Castellano
Argante: Francesca Ascioti
Eustazio: Dara Savinova

Orchestra La Scintilla
dir. Fabio Luisi

Registrato dal vivo a Martina Franca, luglio-agosto 2018
Dynamic CDS7831.03 (3 CD)

Il Rinaldo fu la prima opera londinese di Handel, allestita nel 1711 senza risparmio di spese e con un cast di tutto rispetto, nel quale spiccava il castrato napoletano Nicola Grimaldi (detto Nicolino) nel ruolo eponimo. Questo celebre cantante, all’epoca trentasettenne, si trovava all’apice della sua carriera e dal 1708 era la star indiscussa della scena operistica a Londra: le sue interpretazioni in opere di Scarlatti, Mancini e Handel contribuirono in modo determinante a far appassionare il pubblico inglese all’opera italiana.

Nicolino ritorna a Napoli nel 1712, ma è di nuovo a Londra dal 1715 al 1717, interpretando il ruolo di Amadigi nell’omonima opera di Handel e ancora Rinaldo in una ripresa dell’opera nel 1717. Nel 1718 lascia definitivamente Londra per Napoli, dove lavora al teatro San Bartolomeo con Leonardo Leo e Domenico Sarro. Molto probabilmente fu proprio lui a proporre di mettere in scena il Rinaldo di Handel, il 1° ottobre 1718, per festeggiare il compleanno del re Carlo VI, evidentemente avendo portato con sé da Londra una copia della partitura. L’opera fu diretta da Leo, che si incaricò anche di fare quelle modifiche che erano necessarie per adattare la partitura alle contingenze del momento e del luogo.

Alcuni cambiamenti furono dovuti alle consuetudini del teatro d’opera a Napoli: per questo furono inseriti nella trama due personaggi buffi (Lesbina e Nesso) che oltre a duettare in quattro scene (che fungevano da veri e propri intermezzi, con in totale sei arie e quattro duetti) avevano anche un piccolo ruolo nell’azione (secondo la tradizione napoletana) come servitori di Armida e Almirena. Inoltre Leo sostituì le ampie arie eroiche previste da Handel alla fine dei primi due atti (Venti, turbini di Rinaldo e Vo’ far guerra di Armida) con delle scene d’insieme, rispettivamente un duetto fra Rinaldo e Armida ed un quartetto per Almirena, Armida, Rinaldo e Argante, una soluzione che a Napoli era già popolare e che diventerà sempre più comune nell’opera italiana del Settecento.

Altre modifiche appaiono dovute invece alle richieste dei cantanti, in particolare del Nicolino, il quale non solo volle per sé la parte di Rinaldo ma ottenne anche un consistente ampliamento del suo ruolo, arrivando a cantare ben otto arie, oltre a due duetti con Armida ed un quartetto. Il quartetto, uno dei duetti e un’aria furono composti ex-novo da Leo, mentre il resto proveniva dalla partitura di Handel, comprese due arie che erano state originariamente scritte per altri personaggi: Mio cor, che mi sai dir? di Goffredo e Lascia ch’io pianga di Almirena, quest’ultima adattata al nuovo testo Lascia ch'io resti.

Alla prima donna Marianna Benti Bulgarelli fu affidato invece il ruolo di Armida, la cui importanza fu accresciuta non solo dal nuovo duetto con Rinaldo ma anche da due arie composte espressamente da Leo, arrivando così a cantare in tutto cinque arie, due duetti e un quartetto. Oltre a queste Leo compose ancora per l’occasione altre due arie (per Almirena e per Eustazio), nonché il coro finale. Le restanti arie furono riprese in piccola parte dalla partitura di Handel, ma soprattutto da arie di baule dei cantanti stessi, come vedremo più avanti. Inoltre fu aggiunto, all’inizio dell’opera, un breve prologo encomiastico in onore di Carlo VI, cantato da un personaggio allegorico (La Vittoria).

Le altre due parti maschili importanti furono cantate dal castrato Giovanni Battista Minelli (Argante) e dal tenore Gaetano Borghi (Goffredo), stravolgendo così l’assetto vocale della versione londinese del 1711, nella quale Argante era un basso e Goffredo un contralto. Va però osservato che già nella ripresa del 1717 Handel aveva affidato il ruolo di Argante ad una voce di contralto ed è molto probabile che fosse questa la versione che Nicolino aveva portato con sé a Napoli. Inoltre lo stesso Handel adottò la soluzione napoletana (Argante contralto e Goffredo tenore) nel 1731, per l’ultima ripresa londinese del Rinaldo: si noti che all’epoca Handel sicuramente conosceva i dettagli dell’esecuzione napoletana, visto che Anna Dotti (l’Almirena di Napoli) era in seguito stata con lui a Londra per diverse stagioni. Non si tratta quindi di un cambiamento così rivoluzionario come potrebbe sembrare a prima vista.

Infatti, nonostante questi apparenti stravolgimenti, l’opera mantiene ben salda la sua fisionomia ed è assolutamente godibile sia dal punto di vista musicale che da quello teatrale. Il ruolo di Armida, come detto, acquista maggiore rilievo: oltre a mantenere il suo carattere originale di maga nemica dei cristiani vede accentuato il suo profilo di donna seduttrice e poi innamorata. Anche il personaggio di Argante vede un ampliamento delle scene di carattere amoroso, a scapito di quelle eroiche. L’unica debolezza del nuovo libretto è rappresentata dall’eccessiva presenza di Rinaldo, soprattutto verso la fine del primo atto, quando dopo il duetto inanella tre arie l’una di seguito all’altra.

La partitura dell’opera è andata perduta, però ci rimane il libretto originale (che indica quali scene furono composte espressamente da Leo) e nel 2012 fu scoperto in Inghilterra un manoscritto contenente 15 dei 32 pezzi chiusi dell’opera. Su di esso si basa la ricostruzione fatta dal musicologo Giovanni Andrea Sechi per l’esecuzione di Martina Franca. Il musicologo si accorse ben presto che alcuni dei brani vocali presenti nel manoscritto erano arie di baule, cioè arie che gli stessi interpreti avevano cantato in altre opere (di vari autori) nei mesi precedenti. Per le arie che non comparivano nel manoscritto, e che non erano attribuibili né a Leo né a Handel, Sechi ha quindi adottato la fondata ipotesi che si trattasse ancora di arie di baule ed è spesso riuscito a rintracciarne la musica. Sono perciò presenti in questo Rinaldo anche arie di Orlandini, Porta, Bononcini, Vivaldi e Sarro.

Dopo questo lavoro di ricostruzione restava ancora ignota la musica di tutte le scene buffe, del prologo, di cinque arie e del coro finale. La soluzione pratica adottata a Martina Franca è stata quella di recitare prologo e scene buffe (leggermente abbreviate) senza musica, mentre il coro finale è stato sostituito da quello originale di Handel e le arie sono state rimpiazzate da Sechi con cinque brani tratti da opere coeve, mantenendone il testo originale. Una delle arie è tratta dallo stesso Rinaldo di Handel (Vo’ far guerra di Armida, che era stata tagliata per far posto al quartetto che chiude il secondo atto), le altre sono di Lotti, Gasparini e Sarro. Per i recitativi si è utilizzata la partitura di Handel laddove possibile, gli altri sono stati scritti ex novo dallo stesso Sechi.

Malgrado i numerosi rattoppi, questa esecuzione (pressoché integrale nel testo) è di grandissimo valore documentario e ci consegna un’idea piuttosto precisa della prassi operistica in Italia nei primi decenni del ’700.  È inoltre un’ulteriore testimonianza del fatto che il termine pasticcio non è necessariamente sinonimo di opera scadente e poco interessante. Al contrario, ci permette di ascoltare musiche di autori oggi quasi dimenticati ma all’epoca molto popolari.

L’interpretazione di Martina Franca, registrata in questi dischi, pur non essendo eccezionale è complessivamente piuttosto buona. Fra i cantanti mi è piaciuta soprattutto l’Armida di Carmela Remigio, stilisticamente inappuntabile e molto a suo agio sia nelle scene di furore sia in quelle di seduzione. Non mi ha convinto appieno, invece, il Rinaldo di Teresa Iervolino, che spesso nelle arie eccede col vibrato, anche se la sua recitazione è ottima. Si disimpegnano bene anche Loriana Castellano e Francesca Ascioti nei ruoli di seconda donna (Almirena) e secondo uomo (Argante), mentre il tenore Francisco Fernandez-Rueda (Goffredo) non va oltre la sufficienza.

Buona infine la prova sia dell’orchestra che del direttore, anche se in alcuni casi ho trovato i suoi tempi un po’ troppo lenti. Il suono orchestrale è restituito molto bene dalla registrazione, mentre non è altrettanto felice la resa delle voci, che risultano troppo in primo piano rispetto all’orchestra. È un problema che ho notato anche in altre registrazioni dal vivo della Dynamic: evidentemente la loro tecnica di ripresa del suono deve essere migliorata.

Malgrado questi appunti il mio giudizio globale è ampiamente positivo: un cofanetto da non perdere per gli appassionati dell’opera barocca.

Maurizio Frigeni, 5 maggio 2019

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