George Frideric Handel: Catone (1732)
Sonia Prina, Catone Riccardo Novaro, Cesare Roberta Invernizzi, Emilia Kristina Hammarström, Arbace Lucia Cirillo, Marzia
Auser Musici Carlo Ipata, direzione
Glossa GCD 923511 (2 CD)
uesto cofanetto è dedicato ad uno dei pasticci che Handel, negli anni Trenta del Settecento, preparò per il suo pubblico londinese. Si trattava di una pratica che gli consentiva di creare con poco sforzo uno spettacolo supplementare, accontentando ad un tempo i suoi cantanti e quella parte del pubblico che voleva tenersi al corrente sulle ultime novità dell’opera italiana. Così, fra il 1725 e il 1737, Handel mise in scena ben nove di questi adattamenti, ottenuti rimaneggiando opere coeve di autori italiani.
Questo Catone del 1732 è basato in particolare sul Catone in Utica di Leonardo Leo, messo in scena a Venezia nel 1729 e seconda intonazione di uno fra i più fortunati libretti del Metastasio. Nell’opera di Leo colpisce l’inusuale decisione di affidare il ruolo di Catone ad una voce acuta (il castrato Nicola Grimaldi, ormai alla fine della sua carriera), mentre i due ruoli maschili principali (Cesare e Arbace) furono cantati a Venezia da altri due castrati: Domenico Gizzi e il celeberrimo Farinelli, all’epoca solo ventiquattrenne. Nelle parti femminili (Marzia ed Emilia) cantarono i due soprani Lucia Facchinelli e Antonia Negri, il ruolo minore di Fulvio fu affidato invece al basso Giuseppe Maria Boschi.
La partitura dell’opera di Leo, che Handel probabilmente aveva potuto vedere durante uno dei suoi viaggi in Italia, dovette comunque essere adattata alle nuove circostanze, con diverse importanti modifiche. In particolare, i bei recitativi del Metastasio vennero considerevolmente abbreviati per andare incontro alle esigenze del pubblico londinese. Inoltre, avendo a disposizione solo cinque cantanti in quella stagione, Handel decise di eliminare il personaggio di Fulvio. Questo era l’unico ruolo per voce grave dell’opera, sicché si poneva il problema di trovare un ruolo per il basso Antonio Montagnana, che faceva parte della compagnia. Sarebbe stato logico affidargli la parte di Catone, che di solito veniva appunto interpretata da una voce grave. Invece Handel, sorprendentemente, decise di far cantare Montagnana nel ruolo del primo uomo, ovvero Cesare, affidando la parte di Catone all’unico castrato a sua disposizione, il celebre Senesino.
Questo comportò naturalmente la sostituzione delle arie di Cesare scritte da Leo con altre quattro arie (due di Porpora, una di Vivaldi e una di attribuzione incerta) la cui scelta probabilmente fu dovuta in gran parte allo stesso cantante. Se per Montagnana si trattò di una promozione, per il Senesino si può parlare senz'altro di un declassamento, seppure con la parziale consolazione di avere ben cinque arie, tutte provenienti dalla partitura di Leo. Di certo in quel periodo i rapporti fra Handel e il famoso castrato non erano idilliaci, tant’è vero che pochi mesi dopo il Senesino avrebbe abbandonato Handel, scritturato da una compagnia rivale.
La prima donna di Handel, Maria Strada, ebbe la parte di Marzia, con cinque arie che nelle intenzioni originali provenivano tutte dal Catone di Leo. All’ultimo momento, però, la Strada ottenne di poter sostituire l’ultima aria con la celeberrima Vo’ solcando il mar crudele (tratta dall’Artaserse di Vinci e cantata per la prima volta da Carestini nel 1730), in modo da chiudere in bellezza l’opera.
L’altro ruolo femminile (Emilia) fu affidato alla seconda donna, Celeste Gismondi, che era da poco arrivata a Londra dall’Italia. Questa circostanza può forse spiegare perché nessuna delle arie che Handel aveva previsto per lei in origine provenissero dal Catone di Leo e soprattutto perché ben quattro di queste furono poi sostituite con altre, evidentemente su richiesta della cantante. Tali nuove arie “di baule” (tre di Hasse e una di Porpora) si fanno notare per una scrittura spesso apertamente virtuosistica ed in particolare per l’abbondanza di salti di grande ampiezza.
Infine, il ruolo che era stato di Farinelli (Arbace) fu dato a Francesca Bertolli, cantante specializzata nei ruoli maschili ma certo non all’altezza del celebre castrato. Comprensibile quindi che Handel si sia limitato a prevedere per lei tre arie, senza attingere a quelle scritte da Leo per Farinelli ma riprendendole da opere di Hasse, Vivaldi e Porpora.
Come si può evincere da questo resoconto, in questo pasticcio Handel cercò di accontentare soprattutto i suoi cantanti, non sempre a vantaggio della qualità musicale. Tuttavia è molto interessante poter ascoltare questo spaccato della vita operistica italiana negli anni attorno al 1730, perché si tratta di musiche importanti ma finora piuttosto trascurate, sia in disco che nei teatri. Ottima quindi l’idea di mettere in scena l’opera a Barga e Pisa nel 2015 e poi di portarla (in forma di concerto) al festival di Halle lo scorso maggio. E lodevolissima la decisione, della casa discografica Glossa, di registrare l’esibizione di Halle, avendo radunato per l’occasione un cast stellare.
Malgrado ciò, non posso fare a meno di recriminare per diverse cose che avrebbero potuto essere fatte meglio, anche perché si tratta della prima registrazione mondiale di un’opera che non ci ricapiterà a breve di ascoltare con altri interpreti. Innanzitutto i tagli: se posso accettare, a malincuore, che i già scarni recitativi di Handel siano stati ulteriormente abbreviati (fino a rendere la trama praticamente incomprensibile), non capisco invece che bisogno ci fosse di tagliare anche due arie nel secondo atto (una di Emilia e una di Marzia).
Assurda inoltre la decisione di inserire un pezzo di recitativo fra le due parti della grande aria di Emilia Vede il nocchier la sponda. Sarà forse dovuta alla necessità di far riprendere fiato ad una Roberta Invernizzi un po’ in affanno? Non lo sappiamo, né ci vengono in aiuto le note accluse ai CD, che tacciono completamente sulle scelte esecutive.
Possiamo però consolarci con i cantanti, che sono quanto di meglio potremmo desiderare. Sonia Prina è del tutto a suo agio nel ruolo che fu del Senesino, con una parte non troppo ardua da cantare e recitativi mirabilmente eseguiti. Roberta Invernizzi invece, come dicevo, è sembrata a tratti un po’ in difficoltà con gli enormi salti presenti nelle arie di “Celestina” Gismondi: la voce passa da acuti strillati a gravi quasi inaudibili. Probabilmente questo è un ruolo a lei non del tutto congeniale, però ho notato analoghe difficoltà anche in altre sue esibizioni più recenti. Mi auguro che si tratti di un problema transitorio.
La migliore del cast è però a mio avviso Lucia Cirillo, che tratteggia una splendida Marzia: bei trilli nelle arie e recitativi intensi, per finire con una Vo’ solcando il mar crudele da antologia. Ottima anche Kristina Hammarström come Arbace: pur non potendo cantare le arie di Farinelli, non le mancano le occasioni per brillare, come nella deliziosa Un raggio di speme o nella virtuosistica Quando piomba improvvisa saetta. Buono Riccardo Novaro come Cesare, anche se avrei preferito un tempo un po’ più mosso nella grande aria di Porpora È ver che all’amo intorno (e vorrei anche sapere perché si ostina a pronunciare “all’amo interno”, come se leggesse lo spartito per la prima volta).
L’orchestra fa un buon lavoro, come anche il direttore, al netto delle sue responsabilità nelle scelte poco felici di cui sopra. Nel complesso, malgrado le perplessità di cui sopra, si tratta comunque di un cofanetto prezioso e caldamente consigliato.
5.03.2017 – M.F.
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